Sulla sfera e il cilindro
L’opera
Sulla
sfera e il cilindro è composta da
due libri: il primo, che contiene i
risultati fondamentali raggiunti da
Archimede relativi alla superficie e il
volume della sfera, comprende ben 44
proposizioni, invece il secondo, assai più
breve, comprende soltanto 9 proposizioni,
inerenti a problemi relativi alla
divisione della sfera in più parti.
Anche quest’opera, come la Quadratura
della
Parabola e Sulle
spirali, è preceduta da una lettera
che Archimede scrive al matematico
alessandrino Dositeo, che era stato
probabilmente discepolo del matematico
Canone, di cui Archimede era amico e con
il quale aveva avuto una corrispondenza.
Nella lettera Archimede descrive il
contenuto dell’opera ed esprime il proprio
orgoglio per essere riuscito a determinare
ciò che altri matematici prima di lui non
erano stati capaci di fare: pur essendo “queste
proprietà appartenenti da sempre alla
natura di queste figure accadde che dei
molti degni geometri anteriori a Eudosso
tutti le ignorarono e nessuno le
comprese”. Continua poi la lettera
affermando: “E’
ora data la possibilità ai competenti di
esaminare queste proposizioni. Sarebbe
stato bene che esse fossero state rese
note quando Canone era ancora in vita:
pensiamo infatti che egli massimamente
avrebbe potuto comprenderle pienamente e
dare su di esse un giudizio confacente:
ma ritenendo che sia bene portale a
conoscenza di coloro cui la matematica è
familiare, ti inviamo le dimostrazioni
che abbiamo appena scritte e che sarà
possibile di esaminare a coloro che si
occupano di matematica” (traduzione
da Opere
di Archimede,
a cura di Attilio Frajese). E’
probabile
che i risultati da lui ottenuti non
abbiano suscitato molto interesse fra i
matematici suoi contemporanei e nella
lettera si lamenta di non aver inviato i
suoi scritti a Canone, che avrebbe invece
ben potuto valutarli e valorizzarli.
Nel
libro primo è possibile distinguere due
parti. La prima relativa ai cilindri e ai
coni, comprese le figure prodotte
dall'insieme di due coni aventi la stessa
base e i vertici da parti opposte, dette
solidi rombi. Nella seconda parte del
libro troviamo una lunga serie di teoremi,
necessari per giungere alla dimostrazione
delle proposizioni 33 e 34, relative alla
superficie e al volume di una sfera; tutta
la seconda parte dell’opera è strutturata
in modo tale che si possa giungere a
queste due importanti proposizioni.
L'opera Sulla
sfera e il cilindro può essere
considerata come la continuazione degli Elementi
di Euclide,
la più importante opera matematica
giunta fino a noi dalla cultura greca
antica. Gli Elementi
consistono in 13 libri: i primi sei
riguardanti la geometria piana, i
successivi quattro i rapporti tra
grandezze e gli ultimi tre la geometria
solida; in particolare nel libro XIII
Euclide analizza i poliedri regolari. Nel
libro XII Euclide analizza gli stessi
solidi che ritroviamo in quest’opera,
coni, cilindri e sfere; nella Proposizione
10 e 18 del XII Libro Euclide dimostra
rispettivamente che il cono è la terza
parte del cilindro avente la stessa base e
uguale altezza e che le sfere stanno fra
loro in ragione triplicata rispetto a
quella dei propri diametri (cioè stanno
tra loro come i cubi dei loro diametri).
Ma Euclide, coerente con i principi di
assoluta teoreticità che caratterizzano la
matematica greca del suo tempo, non
fornisce nessuna regola per determinare la
misura della superficie o del volume della
sfera.
Le opere di Archimede, e questa in
particolare, si possono considerare la
continuazione degli Elementi,
non solo perché Archimede comincia il
proprio lavoro dove Euclide l’aveva
finito, ma perché utilizza, come vedremo,
numerose proposizioni tratte proprio dagli
Elementi
(come le Proposizioni 11,12 ,13,14,15 del
XII Libro), spesso citandole, per giungere
a nuovi risultati, proprietà e misure come
quella della superficie della sfera, non
ottenute da Euclide.